Stefano Stranges
Tunisia, L’autunno della rivoluzione. nov. 2017
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Text by Federica Tourn
Full story available on demand.
“My son was about to get on the boat. Everything had already been organized. I called him on the telephone. I begged him: come back, your cousin has just died at sea, come home.”
The cousin is Yassin, 18 years old, one of the more than 50 victims of the shipwreck that occurred on October 8, 2017 near the Kerkennah Islands, in front of Sfax. This is only one out of the many dramas of illegal immigration in the Mediterranean Sea that border policies have accustomed us to.
A few kilometres nearby lies the capital of the region, Sidi Bouzid, the city where everything began seven years ago when street vendor Mohamed Bouazizi set himself aflame in front of the Governor’s Palace to protest against police abuse. The police had confiscated his goods for the umpteenth time. His death resulted in a revolution that from the heart of Tunisia spread throughout the whole country, overthrowing the regime of Ben Ali, intimate friend of Craxi and Berlusconi, and inspired the revolts of the so-called Arab Spring, which toppled like dominoes the regimes that hitherto had been considered untouchable. It was a hope for change that for the majority of the people today has only brought an aftertaste of defeat, because things in Tunisia are now even worse than before. There are economic crises, a 30% unemployment rate, a collapsing health system and police repression. Here they say that freedom is a privilege of the rich. The poor, and by now even the middle class, have only three options: flee to Europe with the harrka (“the boats of death”) or join Daesh. The third is wait and die.
- Scorcio di uno dei quartieri popolari di Tunisi
- Nel quartiere di Melassine, uno dei più poveri della Città
- Tayeb e Hassen per le strade di Makl Zaime, uno dei quartieri più poveri della città.
- Seif nel quartiere popolare di Bab Jedid, dove vive.
- Tayeb nella sua casa, a Makl Zayme, uno dei quartieri popolari della città .
- Hassen davanti a quello che viene usato come specchio, nel quartiere di Mekl Zaime.
- Hassen davanti a quello che viene usato come specchio, nel quartiere di Mekl Zaime.
- Tayeb nella sua casa, a Makl Zayme, uno dei quartieri popolari della città.
- Tunisi, uno scorcio della Medina
- Una strada in un qurtere popolare di Tunisi
- Salah e i suoi bambini all'entrata di casa nella Medina di Sfax. Ha già tentato di partire, la prossima volta riproverà con la sua famiglia.
- Medina di Sfax. Yosri, 18 anni, diabetico, costruisce scatole per scarpe per un corrispettivo di 2.50 euro al giorno.
- Una delle case fatiscenti nel centro della Medina di Sfax. In una stanza vivono 4 persone, senza acqua corrente.
- Amor all'interno della sua casa fatiscente, nella Medina di Sfax.
- Zora, all'interno della sua casa fatiscente nella Medina di Sfax. Invalida, lavora ancora in un bagno pubblico.
- Hela all'interno della casa fatiscente nel centro della Medina di Sfax, dove vive con la famiglia.
- Yosri 18 anni, diabetico, nel patio della sua casa priva di acqua corrente, all'interno della Medina di Sfax.
- Un laboratorio di scarpe nella Medina di Sfax. Hela guadagna 50 euro al mese per incollare suole di scarpe. E' una delle fortunate ad avere lavoro.
- Vicoli all'??interno della Medina di Sfax.
- Uno scorcio della Medina di Sfax, al tramonto.
- Davanti ad una sala giochi di Le Kef, uno dei pochi luoghi di intrattenimento del paese, al confine tra Tunisia e Algeria.
- Davanti ad una sala giochi di Le Kef, uno dei pochi luoghi di intrattenimento del paese, al confine tra Tunisia e Algeria.
- All'interno di una sala giochi di Le Kef, uno dei pochi luoghi di intrattenimento del paese, al confine tra Tunisia e Algeria.
- Uno scorcio di Le Kef, visto dal Forte della Kasbah
- Lungo una strada a pochi chilometri da Sidi Bouzid.
- La famiglia di uno dei ragazzi annegati nel naufragio dell'8 ottobre 2017, nella loro casa di Bir El Hafey, Sidi Bouzid.
- La zia di uno dei ragazzi morti nel naufragio dell'8 ottobre 2017. Nel naufragio sono morti 11 ragazzi provenienti da questo piccolo paese Bir El Hafey, Sidi Bouzid.
- Due ragazzi tunisini in attesa del giorno della partenza per l'Europa, davanti al porto di Sfax.
- Davanti al porto di Sfax.
- Davanti al porto di Sfax, insieme ad un gruppo di ragazzi che aspettano di partire per raggiungere l'Europa.
- Allestimento simbolico di bare intorno al monumento centrale della cittadina di Bir El Hafey, a memoria del naufragio dell'8 ottobre 2017.
Not only men try their luck at sea, as it happened until recently. Today single women, families with small children, the elderly and the disabled also take those boats. Sometimes mothers accompany their children in that nightmare of a voyage in the dark and cold in order to share their fate if the boat sinks or to come home alone if everything goes well, having given them that last embrace. This is a report about the desperate people who place their lives in the hands of traffickers only to come to a Europe that is indifferent and that does not want them.
Testi di Federica Tourn.
Articolo completo a disposizione su richiesta.
«Mio figlio stava per salire sulla barca, era già tutto organizzato. L’ho chiamato al telefono, l’ho implorato: rientra, ti prego, tuo cugino è appena morto in mare, torna a casa».
Il cugino è Yassin, 18 anni, una delle oltre 50 vittime del naufragio dell’8 ottobre scorso al largo delle Isole Kerkenna, davanti a Sfax, uno dei tanti drammi dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo a cui ci ha abituato la politica delle frontiere. A pochi chilometri c’è il capoluogo della regione, Sidi Bouzid, la città da cui tutto ha avuto inizio sette anni fa, quando il venditore ambulante Mohamed Bouazizi si è dato fuoco davanti al palazzo del Governatorato per protestare contro i soprusi della polizia, che per l’ennesima volta gli aveva sequestrato la merce. La sua morte ha portato a una rivoluzione che dall’interno della Tunisia si è irradiata in tutto il paese facendo crollare la dittatura di Ben Ali, amico intimo di Craxi e Berlusconi, e accendendo le rivolte della cosiddetta primavera araba, che hanno fatto cadere come tante tessere del domino regimi fino ad allora considerati intoccabili. Una speranza di cambiamento che per la gran parte della popolazione oggi ha soltanto il retrogusto della sconfitta, perché in Tunisia si sta molto peggio di prima, fra crisi economica, disoccupazione al 30%, sistema sanitario al collasso e repressione della polizia. Qui, dicono, la libertà è un privilegio dei ricchi; ai poveri – e ormai anche alla classe media – non restano che tre opzioni: fuggire in Europa con l’harrka (letteralmente “i barconi della morte”), o arruolarsi con Daesh. La terza è lasciarsi morire.
Tentano la sorte per mare non soltanto gli uomini, come succedeva fino a poco tempo fa, ma anche le donne sole, le famiglie con bambini piccoli, gli anziani e i disabili. A volte le madri accompagnano i figli in quella traversata da incubo, al freddo e al buio, per condividerne la sorte nel caso di naufragio o per tornare indietro da sole se tutto va bene, soltanto il tempo di un ultimo abbraccio. Un reportage che racconta chi sono i disperati che si affidano ai trafficanti pur di salire raggiungere un’Europa indifferente e che non li vuole.
Leggi l’articolo – Tunisia tra povertà e integralismo (JESUS magazine, 01.2018)
Leggi l’articolo – Tunisia: dalla rivoluzione tradita alla grande fuga nel Mediterraneo (IL REPORTAGE, 01.2018)